L’autobus la rendeva triste: tutta quell’umanità raccolta in un luogo piccolo, che si pigiava continuando a ignorare chi aveva accanto. Quei visi solcati dal grigiore dell’abitudine, dalle mancanze, e dall’incertezza di una vita con troppi spigoli. Chicca guardava i volti delle persone e vedeva le loro vite, la loro lotta quotidiana per rimanere a galla e non affogare. Pensava all’autobus come alla rappresentazione della società: un palcoscenico dove gli attori non conoscono la parte. Osservò di nuovo i suoi compagni di viaggio. Una ragazza cinese parlava al cellulare, facendo scivolare nella gola strani suoni e nel sedile dietro di lei un arabo leggeva un giornale con i caratteri della sua lingua. Siamo in piena globalità, ma i colori ‘interni’ non sono legati al luogo di nascita; i colori interni sono sempre esistiti e il colore della faccia non cambia questa realtà.
Guardava fuori dal finestrino, ora, e seguiva il percorso dell’autobus, prima la strada, livello terreno, poi a mezz’aria, livello persone, e saliva fino ai palazzi. Erano ancora nella zona ‘vecchia’; i palazzi erano degli anni precedenti alla guerra, muri solidi dai colori gialli e salmone, cipria e rosati, dalle sfumature pastose, di terra mescolata a sabbia, quella consistenza quasi di velluto che ha l’intonaco dei palazzi di Bologna e che ti fa subito capire dove sei.
Cercava i segni dei restauri, quell’aria di appena rifatto e pulito che spiccava sull’intonaco sbrecciato del palazzo vicino, e ammirava i decori delle facciate. I palazzi sono come le persone: un restauro e diventano più affascinanti.
Un ragazzo che passava sotto al portico le sorrise: forse aveva scambiato il suo sguardo perso nei pensieri per un interesse verso di lui. Anche Chicca, dietro il finestrino dell’autobus, sorrise.
* l’intonaco dei palazzi di Bologna è particolare. Al link trovate un documento interessante, ma non è ancora quello che ho in mente…
mi piace guardare le persone, quando giro per il mercato o anche mentre vado (piano) in motorino.
mi piace da matti incrociare le donne africane. quelle che le vedi da distante perché usano i loro abiti tipici, coloratissimi con tanto di turbante. mi piacciono tantissimo perché, in linea di massima se sono almeno in due le vedi camminare parlando tra di loro e sorridono. (la stragrande maggioranza delle persone non sorrido quasi mai per strada…) e poi sono così disivolte, e hanno un portamento reale.
mi piacciono perché non sono per nulla uniformate, niente jeans o maglie uguali ad altre 3000 jeans o maglie. hanno una sicurezza nel passo che invio molto alle volte!
ho divagato forse, ma solo un po’…
bene bene… questo è l’esempio di come una lettura possa suscitare la scrittura.
ti sei accorta, sonia, che hai scritto un brano che potrebbe essere inserito in un tuo racconto? elaborato, ampliato, arricchito, certo, ma è già un nocciolo 😉